The Subtle Knife, ovvero Il Pugnale Sottile, è il secondo capitolo della trilogia fantasy His Dark Materials, dalla penna di Philipp Pullman. La stagione precedente aveva coperto il primo romanzo Northern Lights, conosciuto anche come The Golden Compass, La Bussola d’Oro. Qui, le vicende si sono incentrate su Lyra Belacqua alle prese con la lettura dell’aliometro. Questa seconda annata si occupa del secondo volume: Will Parry è un ragazzo del nostro mondo destinato ad assumere il ruolo del custode di un pugnale dalle capacità incommensurabili, in grado di vincere una guerra fra i mondi o gettarli nel caos. Æsahættr, distruttore degli Dei.
Le ultime scene della prima annata dello show BBC consegnavano un finale carico di pathos e di promesse: Lyra vede il suo migliore amico appassire, vittima delle ambizioni del padre, ma decide di attraversare il grande portale fra i mondi schiuso dal presunto sacrificio di Roger.
Le prime scene della seconda sono infuse dello sconforto e spaesamento di Lyra per il lutto, per l’essere viandante in un mondo che non le appartiene, fino a giungere nel bellissimo ritratto della Città delle Gazze, o “City of Magpies” tradotto dal titolo del primo episodio, che a lungo è stata visibile come un’ombra inafferrabile durante la prima stagione. Questa si ambientava completamente nel mondo di Lyra, mentre la nuova partita di episodi si muove fra ben tre mondi, alzando l’asticella delle vicende che abbracciano sempre di più la natura epica del materiale originale, sebbene alle volte lascino per strada il commento teologico che aveva reso la saga letteraria così amata e controversa.
Riguardo l’estetica della serie, la seconda stagione ha compiuto un passo in avanti molto importante: dalla torre degli angeli di Cittàgazze – edificata in un set del Galles per l’occasione – all’apparizione dei famigerati spettri, passando per la Lama Sottile e le manifestazioni degli Angeli, His Dark Materials rimane un piacere per gli occhi. L’elemento fantastico è vivido, maestoso nella sua manifestazione, superando alcune produzioni di rilievo come The Witcher di Netflix nel catturare la sensazione propria del fantasy. Questo è un pregio molto importante per un’opera fra i pionieri di un genere da troppo tempo relegato in secondo piano in ambito seriale, per mancanza di fiducia o di interesse da parte delle grandi produzioni. Con la seconda stagione di The Witcher all’orizzonte, il progetto di Amazon sulla Seconda Era della Arda di Tolkien e le recenti indiscrezioni sulle possibilità di uno show basato sul franchise videoludico di The Elder Scrolls, opere come His Dark Materials dimostrano al pubblico che il fantasy non è un capriccio passeggero, né la sua importanza si esaurisce nel media letterario.
Quando le scene abbacinano, c’è sempre il rischio vi sia una pochezza di intenti e intrecci, mascherata dagli effetti speciali. Per fortuna, non è il caso di questo show. La trama di His Dark Materials ricalca con sufficiente fedeltà gli eventi del secondo libro della saga, sebbene concedendosi qualche libertà. È inevitabile perdere qualcosa in ciò che a tutti gli effetti è un’opera di traduzione multimediale. Personaggi e scene vengono purtroppo meno, così come è più celata la riflessione sulla religione, ma il fascino di una storia che si dipana fra mondi in contatto e divisi è rimasto, conservando i pregi della prima stagione ed elevandoli, seppur con qualche difficoltà.
Dal fatidico incontro fra Lyra e Will, il trittico dei primi episodi impiega il suo tempo per un’introduzione comprensiva dello stato in cui il mondo – o meglio, i mondi versano a causa delle azioni di Lord Asriel. Lunghe sequenze sono spese per raccontare i giochi di poteri fra i palazzi nei potere del Magisterium, o l’indagine di Lyra e Will per le strade di Cittàgazza, senza dimenticare il tortuoso cammino di Miss Coulter per ricongiungersi alla figlia e la sottotrama un po’ caotica del carismatico Lee Scoresby. A fronte di un primo episodio ricco di avvenimenti, la narrazione tira un po’ troppo il freno fino alla fine di “Thief”. L’atmosfera è meditativa per concedere allo spettatore di ambientarsi e avere una migliore comprensione dell’articolato ed esoterico universo abitato da queste oscure materie dai molti nomi, così ardue da raffigurare mantenendo l’alone di inconoscibilità alla comprensione dell’essere umano.
In questo, His Dark Materials è coraggiosa, anche nei suoi difetti. Purtroppo, la vivacità del racconto si annacqua nei dialoghi, che alle volte rischiano di suonare artificiosi. Molte sono le spiegazioni mascherate da interazioni fra i personaggi; è un difetto che grava anche su scene pregne di significato come il dialogo rivelatore fra la ricercatrice Mary Malone e la manifestazione tramite frequenze degli angeli.
La pazienza viene premiata a partire dal quarto episodio, praticamente a metà della stagione. Pagato un violento tributo di sangue, Will assurge a protagonista di questo secondo capitolo – a tutti gli effetti come avviene nei libri. Altrettanto, l’attesa viene ripagata quando His Dark Materials tira i fili della sua storia: le forze delle streghe e del Magisterium si scontrano nell’affrontare la Profezia che aleggia sui due inconsapevoli protagonisti. In questa guerra non dichiarata sono svelati gli spunti a più profonde riflessioni sulla religione, ma la seconda stagione si focalizza molto di più sui personaggi, benché la simbologia rimanga importante e in “Æsahættr” si rivela finalmente il ruolo di Lyra nel grande disegno della Profezia. Si crea un forte legame fra Will e Lyra che affrontano insieme inseguitori e salvatori. Cittàgazze è un luogo che conserva l’innocenza nella sopravvivenza, ma condanna il duo a perderla per sempre quando si scontrano con gli orfani rimasti per le vie cittadine (tra cui figura anche Bella Ramsay, la Lyanna Mormon di Game of Thrones). La trama rimane un racconto dove l’esoterismo fa da padrone, ma il suo fascino è anche l’affrontare un’ambientazione magica e irreale attraverso gli occhi di chi è così vicino a noi nelle ansie, ambizioni e timori messi a confronto con le immense entità che dominano e indirizzano le vite di tutti.
I personaggi ritornano, riconoscibili eppure diversi. Al netto dei succitati problemi per certi dialoghi troppo espositivi, lo spettatore è partecipe della loro evoluzione. Lyra Belacqua, o Silvertongue come è stata battezzata dal Re degli Orsi Corazzati Iorek Byrnison, non ha perso la sua arguzia e lo spirito che la animano, ma il confronto con la madre e con il padre, la perdita dell’amico Roger la segnano in più di un modo. Una bravissima Dafne Keen costruisce una sicumera attorno il personaggio, contro cui scontrerà chiunque verrà a contatto con lei, da Will a Mrs. Coulter stessa. Altrettanto, Amir Wilson consegna un’interpretazione coinvolgente di un tormentato ragazzo del nostro mondo investito da responsabilità oltre il suo comprendonio, ma ancorato alla ricerca per riunire la sua famiglia. Quello che si prefigura come un viaggio verso la maturità è scandito da un percorso interiore che si riflette negli scenari attorno. Non è un caso che si svolga nel nostro mondo una scena delle scene più forti: il confronto fra la figlia e la madre, capovolta rispetto alla scena parallela della prima stagione dove Marisa Coulter era l’aggressore nella tenzone fra daemon.
I deuteragonisti non sono lasciati indietro. Due esempi: la strega Serafina Pekkala e l’areonauta Lee Scoresbey sono al servizio di una profezia, ma la dedizione nell’aiutare Lyra non appiattisce la personalità di due importanti figure nel viaggio dell’eroina. L’ordalia della misteriosa Serafina è profondamente legata alla creazione di un mondo migliore attraverso un’antica speranza, mentre l’abnegazione di Lee nasce dal rispetto conquistato da Lyra, che lo porterà a sacrificare la sua vita contro i soldati del Magistero, in una scena davvero bella, che però perde la sua potenza originale. In The Subtle Knife, il sacrificio di Scoresby impedisce ai soldati di arrivare a Lyra e Will, mentre nella serie uno dei militari sopravvive solo per uccidere Jopari (figura ben ritratta, ma dalla vita troppo corta), quasi vanificando l’eroismo dell’aeronauta. Una scena che smorza l’atmosfera in un cliché troppo forzato, dovuto ad uno dei momenti in cui la traduzione fra i media mostra i suoi limiti. Quando c’è armonia fra il riportare dai libri e il raccontare sulle scene, si raggiungono picchi non indifferenti: Carlo Boreal, panni vestiti da un machiavellico Ariyon Bakare (Carnival Row), ha dato di più rispetto alla sua controparte letteraria: pur essendo un antagonista di secondo piano, ha posto una seria minaccia per Will e Lyra e la sua dipartita è una delle scene più inquietanti in cui è coinvolta la vera anima dello show.
Il ritratto di Marisa Coulter rimane la punta di diamante della serie. L’antagonista principale ruba la scena con sofferente fierezza, dalla brutale tortura della strega prigioniera nel primo episodio all’insofferente botta e risposta sui demoni del passato con Lee Scorseby, fino al sinistro sorriso alla scoperta che gli spettri rispondono al suo volere.
Nelle interviste antecedenti alla prima stagione, Ruth Wilson (The Affair) aveva salutato gli spettatori con l’augurio “I hope I scare you all!“. Le capacità attoriali e l’encomiabile lavoro di scrittura del personaggio mostrano un vero studio di come un villain possa essere malvagio senza cadere nello stereotipo, di come la spietatezza non nasca da crudeltà innata, ma da un passato vittima delle circostanze, a causa di una società che l’ha forgiata nel bene e nel male, ma alla quale ha dovuto sacrificare molto più che se stessa. Il suo daemon, dopotutto, è l’unico che finora non ha parlato e né avuto un nome, ma altrettanto è il solo ad aver mostrato reticenza di fronte alle scelte della sua padrona, che arriva perfino a pensare di sacrificarlo per un potere più grande. I momenti fra la scimmia d’oro e Miss Coulter sono i momenti in cui Marisa dialoga con la sua stessa umanità, di cui desidera ardentemente distaccarsi perché vista come una debolezza e un ostacolo a più alti fini. Ma è un fatale errore in un multiverso dove l’umanità dei protagonisti è ciò che tiene la loro fronte alta, anche al cospetto di entità oltre l’umano.
Se la serie seguirà ancora pedissequamente la divisione letteraria, la prossima stagione potrà essere l’ultima della serie (senza contare le recenti novelle pubblicate da Pullman) e le rivelazioni sulla profezia attorno Lyra, il suo rapimento, nonché le scene finali pre e post titoli di coda, preparano il terreno per un’ottima terza stagione, se si sapranno mantenere i numerosi pregi e soprattutto la sua atmosfera onirica e surreale.
Voto: 8
Abbiamo visto la stessa seconda stagione o siete sotto l’effetto di droghe?
I due protagonisti sono imbarazzanti quando recitano, così come il finale è totalmente senza senso e pieno di salti temporali non spiegati che fanno accapponare la pelle. Specie se si pensa a tutte le scene inutili viste in 8 episodi.
Meno droga raga, questa stagione è da 4,5
Posto che c’è modo e modo di esprimere il proprio disaccordo e che il tuo non è certo educato e rispettoso delle opinioni altrui, io la tua opinione la rispetto comunque e provo a risponderti nel merito: sono in disaccordo con il commento, nei sette episodi della seconda stagione la Keen e Amir Wilson hanno recitato bene, in particolare lei, vedasi l’episodio “The Scholar”. Il finale stento a definirlo “senza senso”, è un po’ caotico – come ho notato io stesso citando una scena molto diversa nel libro – ma non vedo altri salti temporali se non quello fra Lyra e la Coulter. Se ne hai visti altri, però, di’ pure. Può darsi me ne sia sfuggito uno o due.
Ottima rece…sostanzialmente d’accordo su tutto(diciamo che il mio voto alla season è 7)…:)…bravi gli attori con una Ruth Wilson stratosferica(del resto l’avevo molto amata in “The Affair”)…