La quiete dopo la tempesta. Con ormai alle spalle gli sconvolgimenti di inizio stagione, la narrazione di Person of Interest rientra in binari più consueti: vanno in pausa i flashback, rispunta la sigla, ricompaiono i “numbers”. Tutto, insomma, torna alla normalità… più o meno.
Dopo i primi due straordinari episodi, la serie di Jonathan Nolan si concede una pausa, se così la si può definire. Se infatti da una parte si ritorna ai classici schemi del “caso di puntata” (accantonando per un momento la vicenda Root), allo stesso tempo, però, si coglie l’occasione per riprendere anche personaggi e storyline lasciati in sospeso la scorsa stagione, come i complotti della CIA, Mark Snow, il mistero su Alicia Corwin e il ritorno di due villain di razza pura come Kara Stanton (l’ex-partner di Reese) e, soprattutto, Elias.
Certo, ciò non toglie che Masquerade e Triggerman siano alla fine semplicemente episodi di assestamento, in particolare per Harold Finch, impegnato in un problematico ritorno alla “quotidianità” dopo il trauma subito. Ciò nonostante, il puzzle costruito l’anno scorso da Nolan & Co. è talmente vasto da poter consentire loro di tirar fuori dal cilindro, anche in puntate relativamente tranquille come queste, una qualsiasi di queste mille trame orizzontali che hanno lentamente costruito, rendendo così appetibili questi episodi anche a chi poco digerisce gli schemi procedurali.
Il risultato non è perfettamente riuscito in Masquerade, dove il “number” di puntata risulta completamente distaccato dalla parte legata al cadavere di Alicia Corwin e al ritorno in scena di Kara e dell’agente Snow. Molto più solido, sotto questo punto di vista, è invece Triggerman, che, già a partire dal caso singolo, non solo ci riporta direttamente dentro il mondo delle mafie newyorchesi (con il ritorno in scena di personaggi come Elias e l’agente Bill Szymanski), ma fa anche un grande lavoro sui personaggi.
Essendo infatti il “number” un sicario che a sorpresa scopriamo rivestire invece il ruolo della vittima, riecco spuntar fuori sia le problematiche morali tipiche della serie, che l’ambiguo passato dei protagonisti, con un Reese che più di tutti riesce a capire la “conversione” di Riley e con un Finch, al contrario, molto più cinico e tendente a quel lato oscuro che Root ha evidentemente stuzzicato (il “bad code” sembra ormai essere diventato il leitmotiv della stagione). Non a caso, nella partita a scacchi finale, è proprio lui ad utilizzare le pedine nere (in un gioco di evidente richiamo a Lost e alla sua mitologia sui “giochi”).
Per questo, Masquerade risulta alla fine leggermente sottotono, e non aiuta in questo né il personaggio di Sofia Campos (insopportabile), né l’attrice chiamata ad interpretarlo (una nient’altro che bellissima Paloma Guzman). Meglio fa il più esperto (vanta una serie di comparsate televisive, oltre che diversi film d’autore) e magnetico Jonathan Tucker, che ci riporta, invece, proprio nelle atmosfere del Person of Interest di fine prima stagione, con quel peso morale, quella cupezza e quella malinconia che avevano innalzato il serial ad un livello di qualità che all’inizio non ci saremmo mai aspettati.
Con prepotenza, torna a farsi sentire il tema dell’ambiguità di John Reese: proprio come lui, la vittima di turno è un ex-carnefice ormai perduto, che ha però tentato di proteggere l’unica persona che (lo) amava. La storia colpisce Reese nel suo lato più debole, rendendolo più empatico rispetto ad un invece perplesso Finch (“I think there’s a distinction to be made“, “Not as much as you think“). E questo ci porta direttamente al punto interrogtivo di fine episodio: Reese si è di nuovo fatto prendere troppo la mano? Che fine ha fatto fare al killer? Lo ha ucciso? Lo ha spedito in Messico insieme a Peter Arndte Andrew Benton (l’uomo di Cura Te Ipsum, il cui destino è rimasto a lungo ignoto)? I due si conoscevano? Cosa può volere John da lui?
Probabilmente non lo sapremo tanto presto e ci verrà rivelato in seguito insieme a tante altre cose. Nel frattempo, godiamoci un Elias fin troppo sornione e che non promette nulla di buono: il “Finding a worthy opponent has been a little challenging” già ci preannuncia una sua uscita imminente di prigione e la ricerca di un “degno avversario più impegnativo” che, in realtà, sappiamo già essere di fronte a lui. Anche questa, però, è un’altra storia, una delle tante di Person of Interest, che continua a percorrere mille direzioni narrative, senza finora averne mai sbagliata una.
Il blog Seriangolo.it utilizza i cookie per migliorare l'esperienza di navigazione; le informazioni acquisite vengono utilizzate da parti terze che si occupano di analizzare i nostri dati web, pubblicità e social media. Proseguendo la navigazione, si autorizza il loro uso.AccettoCookie Policy
Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.
Ti piace Seriangolo? Seguici sulle nostre pagine Facebook e Twitter!